Il Ghetto Ebraico di Roma è sicuramente un quartiere da inserire in un ipotetico itinerario all’insegna di storia, architettura e cibo. Istituito nel 1555 per volere di Papa Paolo IV (40 anni dopo quello veneziano, il più antico del mondo), divenne il cuore (serrato da tre enormi portoni dal tramonto all’alba) della comunità ebraica romana che si adattò alle condizioni di vita miserabili e insalubri di un’area densamente popolata e a ridosso degli argini del Tevere soggetti a frequenti rotture.
Cosa vedere nel Ghetto ebraico di Roma
Chiaramente l’antica fisionomia è andata perduta nei secoli.
Il “recinto” era originariamente molto più piccolo (solo tre ettari per 3000 persone) e si è esteso gradualmente e in maniera controllata con l’aumento della popolazione. La struttura urbana del ghetto era (ed è, nella parte sopravvissuta) un unicum a Roma.
Visto che lo spazio era limitato, le case si sviluppavano in altezza ed erano caratterizzate da passaggi e ponticelli di collegamento (detti non a caso “passetti”).
Poiché inoltre agli ebrei non era consentito il possesso di beni immobili, la manutenzione non era certo accurata.
Molte abitazioni si ridussero a veri tuguri e, appena abolito il ghetto, vennero totalmente rase al suolo.
Punto di partenza ideale è il Teatro di Marcello dove si incunea una strada pedonale ad accesso libero che vi guiderà al Portico d’Ottavia, il monumento voluto dall’imperatore Augusto per sua sorella Ottavia.
Al termine di questo percorso, sulla destra si trovano i resti del portico inglobati nella Chiesa di S. Angelo in Pescheria, così chiamata perché ricavata all’interno dell’antico mercato del pesce (il Foro Piscario).
Il pesce arrivava tramite le imbarcazioni che risalivano il Tevere e approdavano al vicino Porto di Ripa Grande. Su una lastra campeggia la frase in latino volgarizzato “Capita piscium hoc marmoreo schemate longitudine maiorum usque ad primas pinnas inclusive conservatoribus danto” che significa “tutte le teste dei pesci superiori alla dimensione della lastra di marmo (1,13 metri) sarebbero dovute essere consegnate ai Conservatori”. Questo perché ai Conservatori era destinata la porzione di pesce più prelibata. Ai poveri, dopo l’asta notturna, erano lasciati gli scarti che riutilizzavano in una zuppa che oggi è un succulento piatto della tradizione.
Nella chiesa di Sant’Angelo gli ebrei erano costretti a partecipare alla messa tutti i sabato (le cosiddette prediche coatte per convertirli al cristianesimo).
Sulla sinistra, in Largo 16 ottobre 1943 (l’intitolazione della piazzetta vuole ricordare la data in cui 1200 ebrei sono stati strappati alle loro case e deportati verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau) c’è il Museo della Shoah. Continuando in senso orario ci sono poi l’imponente Sinagoga in stile Liberty e Arte Babilonese (uno dei templi più grandi d’Europa) e il Museo Ebraico di Roma.
Noi siamo stati in Polonia per fare un’esperienza toccante e necessaria: come visitare Auschwitz, il campo di concentramento simbolo dell’Olocausto.
Continuate lungo via del Portico di Ottavia e, per ammirare scorci ancora intatti del ghetto ebraico di Roma, imboccate Via di S’Ambrogio e sbucate in piazza Mattei con la Fontana delle Tartarughe considerata la più bella della città!

Fontana delle Tartarughe [photo credit Giuseppe Moscato]

Pietre d’Inciampo [photo credit Giuseppe Quattrone]
Sempre all’angolo, c’è il forno Boccione, uno storico forno kosher. Non c’è l’insegna ma l’odore vi guiderà a individuarlo (io ho mangiato delle impareggiabili tortine con ricotta e visciole)!

Palazzo Manili [photo credit Edoardo Forneris]
Di miracoli e sangue |
Il nome della Chiesa è legato a un miracolo. L’effigie della Madonna si trovava infatti sotto l’Arco de’ Cenci e quando si consumò un omicidio a tradimento, l’immagine iniziò a lacrimare. Il miracolo si protrasse per 3 giorni finché l’effigie non venne traslata nella vicina Chiesa che cambiò il nome per ovvi motivi. |
Tra le altre cose da vedere nel Ghetto Ebraico di Roma, avrete modo di ammirare:
- la Chiesa di S. Gregorio in Divina Pietà, intitolata al Papa Gregorio Magno che ebbe nel cuore gli ebrei alla fine del 500 d.C. garantendone la libertà di culto;
- il Pons Judaeroum o Ponte Fabricio o, ancora Ponte dei Quattro Capi che collega il ghetto ebraico all’Isola Tiberina (la cui forma ricorda una nave);
- la Chiesa di Santa Maria in Campitelli, luogo di fervente preghiera durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dove mangiare al Ghetto Ebraico di Roma
Per pranzo consigliamo assolutamente Bottega Tredici in via dei Falegnami 14 (a due passi dalla Fontana delle Tartarughe). Questo ristorante gourmet a prezzi giusti, offre un menù stagionale che valorizza la tradizione romana strizzando l’occhio alla modernità. Materia prima eccellente e servizio garbato rendono l’esperienza un viaggio nei sapori della cucina locale con un graditissimo benvenuto con pane fatto in casa e un filo d’olio evo ad accompagnare e l’assaggio di piccola pasticceria a fine pasto.
Per cena, consigliamo uno degli scorci più iconici del Ghetto: le rovine del Portico d’Ottavia illuminate in maniera talmente suggestiva da conferire alla strada che conduce ai più tipici ristoranti della zona un’atmosfera quasi magica.
Consigliamo quindi di scegliere una delle trattorie lungo la via tenendo presente che in alcune troverete un menù con piatti della tradizione ebraica, mentre in altri vengono servite esclusivamente pietanze kosher.
Altro criterio di scelta, i tavolini all’aperto o almeno un giardino (perché privarsi di tanta bellezza?).
Noi abbiamo provato Renato al Ghetto e Su Ghetto ed entrambi ci sono piaciuti.
Non andate via dal quartiere prima di provare i “carciofi alla giudia” (aperti a “fiore” e fritti per intero). Super!

Carciofi alla Giudia [photo credit _as colsas_]