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Scalata Kilimanjaro via Machame Route 2018

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Scalata kilimanjaro vetta Machame Route

La scalata del Kilimanjaro è il sogno di molti viaggiatori. Farla via Machame Route è indubbiamente una delle 100 cose da fare prima di morire! Vi avevamo già raccontato l’avventura nel 2013 di Federico alle prese con la scalata del Kilimanjaro via Marangu Route. Oggi vogliamo dare voce al coinvolgente diario di Fabio che si è cimentato con la Machame. Buona lettura!

La scalata del Kilimanjaro via Machame Route: info sintetiche.

Quanti giorni servono per la scalata del Kilimanjaro via Machame Route?

Seguendo i consigli di chi l’aveva già fatto, l’ho pianificata in 7 giorni (oltre a 5 di safari+ 1 di transfer e 2 di viaggio, in totale 15 giorni) ma, come ho rilevato personalmente, è possibile fare entrambe le esperienze in 12 giorni e non solo per una questione di risparmio. Il tracciato infatti è sempre quello, però si possono accorpare in un unico giorno Baranco e Barafu camp e Uhuru e Mweka gate, saltando rispettivamente le soste nei campi Karanga e Mweka. P.S. se al contrario decidete di fermarvi qualche giorno in più, non c’è alcun problema, pagherete a fine scalata.

Quanto costa un viaggio in Tanzania per la scalata del Kilimanjaro?

1605$ per 7gg (ma, leggendo il diario, capirete che ho barattato ancora e ottenuto uno sconto). In totale tra volo, scalata, Parchi più altre spese accessorie, ho esaurito un budget da 3.000€ ma sono sicuro che se seguirete i miei consigli potrete chiudere a 2.500€ totali (un bel risparmio quindi rispetto ai pacchetti acquistati dall’Italia).

Cosa devo fare per il visto in Tanzania?

Dall’1.01.2018 non è più possibile ottenere il visto direttamente in frontiera. E’ necessario richiederlo prima della partenza presso l’Ambasciata di Tanzania a Roma o presso il Consolato a Milano. Potete scaricare il modulo da questa pagina http://www.embassyoftanzaniarome.info/ e pagare l’importo on-line (50€). Se avete un contatto nella capitale, delegategli la pratica altrimenti dovrete spedire tutto, compreso il passaporto in originale, via raccomandata! Tempi di rilascio, 3-5 giorni lavorativi. Indirizzo Ambasciata: Viale Cortina d’Ampezzo, 185.

Che vaccini devo fare per la scalata del Kilimanjaro?

Se ne consigliano svariati, ma io ho optato solo per quello contro la febbre gialla, somministrato presso la ASL di competenza (38 €).

Quale assicurazione di viaggio scegliere? Io ho scelto Columbus (e voi avete uno sconto se l’acquisterete tramite Turista di mestiere!).

E’ prevista una mancia per la scalata del Kilimanjaro?

Tra le persone che ho conosciuto è variata da 100 a 450$! Generalmente si riconosce il 10% del costo totale, altri preferiscono calcolare un tot al giorno per gruppo: 20$ alla guida, 15$ al cuoco e 10$ a portatore. Naturalmente la questione diventa problematica quando uno viaggia da solo e non può certo sobbarcarsi una simile somma. Pertanto consiglio vivamente di concordarla prima di partire per non trovarsi a discutere con gli interessati a fine scalata.

Devo prenotare la scalata del Kilimajaro  dall’Italia?

Il tempo di attesa per organizzare sul posto la scalata è di un giorno, quindi chi non ha prenotato parta tranquillo e poi lì contratta con le tante agenzie. Suggerisco caldamente Satiel di King of Kilimanjaro Expedition (+255754494114) semplicemente perché è stato corretto e parla bene italiano; anche io ho seguito il consiglio letto su Turista di Mestiere per la scalata del Kilimanjaro via Marangu Route e ne è valsa la pena.

Cosa mettere in valigia? 

L’abbigliamento consigliato: Scarpe da trekking, calzini caldi, ghette, pantaloni caldi per il cammino, calzamaglia, magliette termiche maniche corte, magliette termiche maniche lunghe, micropile, pile, giacca a vento, occhiali da sole, zuccotto di lana, cappello con visiera, crema protettiva, guanti invernali, sacco a pelo.

Dove fermarsi a dormire per questo tipo di avventura?

Consiglio Moshi, è più vicina al gate per chi volesse provare la scalata del Kili.

Dove dormire a Moshi?

Il We Travel Hostel è centrale, pulito, economico (10$ a posto letto nella camera comune; 20$ le singole, colazione inclusa). In più è un buon punto per ritrovarsi con altri avventurosi fai da te.

Euro o dollari?

Entrambi. Sappiate che in dollari dovrete pagare gli ingressi (1438$ per la scalata del Kilimajaro) e se l’agenzia non accetta carta di credito vi troverete costretti a cambiare gli euro in dollari secondo il loro cambio. L’euro torna utile  per tutte le altre spese correnti.

La scalata del Kilimanjaro via Machame Route: il diario di viaggio.

Ho impiegato 10 anni per convincermi che dovevo spiccare questo volo.

Il sogno di giungere sulla vetta del Kilimanjaro (KILI) è nata in me da troppo tempo; si sono susseguiti un sacco di rinvii, sia per non aver trovato l’amico con cui condividere questo viaggio, sia perché avevo poche notizie su come affrontare quest’avventura con il metodo “turista fai da te”.

Un bel giorno mi sono imbattuto nel diario del blog “Turista di mestiere”: tra i tanti viaggi, raccontava in modo molto esplicativo l’esperienza vissuta da Federico nel 2013.

Così una mattina della scorsa estate, mentre contemplavo la bellezza del nostro mare e all’orizzonte scorgevo le montagne dell’Albania, è scattata la solita molla ed ho detto “Parto per scalare il Kilimanjaro”.

E’ proprio in questa magnifica località Salentina (Alimini) che spesse volte prendo la giusta carica e lo spunto per una nuova avventura.

Ritorniamo a noi. Da quel momento, ho iniziato la mia ricerca per pianificare il tutto. Per salire sulla vetta del KILI vi sono 6 sentieri, i più battuti sono la MARANGU Route (5 giorni), soprannominata coca cola route, perché più breve e dove le soste avvengono in ricoveri in legno con un numero limitato di posti letto, e la MACHAME Route (6-7 giorni), soprannominata whisky route, perché sicuramente più difficile, dove si dorme in tenda e, di contro, è più panoramica e permette un maggiore acclimatamento.

Ho scelto quest’ultima perché mi ha sempre intrigato vivere la montagna in tenda. Come primo passo, a settembre ho comprato il biglietto A/R: Fiumicino-Addis Ababa-Kilimanjaro Airport, con la compagnia Ethiopian Airlines (affidabilissima) per 518€.

Messo questo primo paletto di non ritorno, per evitare possibili ripensamenti, nei mesi successivi sono intercorse pagine di email con il mio contatto il loco (grazie sempre al diario di Monica Nardella, in cui segnalava una piccola agenzia molto onesta, la King of Kilimanjaro Expedition).

Lunedì 19 febbraio 2018: Partenza!

Si parte. Speravo che con il tempo qualcuno si sarebbe unito a questa pazzia, ma questo pomeriggio mi ritrovo da solo all’aeroporto di Brindisi per prendere il volo per Fiumicino (84 €) che mi raccorderà con quelli successivi. E’ inutile ripetere che il mio primario obiettivo in questi 15 giorni sarà la scalata del Kilimanjaro e poi se tutto andrà per il meglio, mi concederò qualche giorno di safari nei tanto blasonati Parchi.

Farò un passo alla volta, visto che sono terribilmente preoccupato per una faringite in atto che con il freddo mi potrebbe creare seri problemi in quota. Malgrado la mia esperienza in questo genere di viaggi avventura, non mi sento tranquillo; suppongo perché mi ritrovo da solo e sicuramente incontrerò tanti imprevisti.

Dopo il volo Brindisi Fiumicino, mi toccano 3 ore di attesa al terminal e poi via per Addis Ababa.

Martedì 20 febbraio: Roma – Addis Ababa Airport – Kilimanjaro Airport.

Dopo 5,40 ore di volo sono nella capitale Etiope, altre 3,30 ore di attesa e poi prendo l’ultimo volo per Kilimanjaro Airport. La temperatura è salita, intorno il paesaggio è arido e l’aeroporto è spartano. Ho un cerchio alla testa, suppongo dovuto per il poco riposo ed il cambio di latitudine, finalmente alle 13 scendo dall’ultimo aereo.

Compilata la carta visa, esco fuori e tra i tanti ad attenderci non vedo scritto il mio nome. Non mi preoccupo più di tanto e mentre comincio a pensare come muovermi arriva Giuseppe, un Italiano del Trentino che, avendo una pensione un po’ scarna, ha deciso di vivere per 9 mesi qui in Tanzania e tre li spende tra le sue montagne a raccogliere funghi.

Ci dirigiamo verso Moshi, 40 km di buon asfalto, lungo il tragitto rivivono in me le scene di vita quotidiana dell’Africa del 2010, quando andai in Zambia e Botswana. C’è tanto fervore lungo le strade: officine meccaniche, negozietti, gente che cammina o pascola animali…

Giunti in città, mi accompagnano subito da Satiel (il mio contatto della King of Kilimanjaro Expedition): scopro che parla bene italiano e voglio subito mettere in chiaro ogni particolare della scalata e relativi costi. Apprendo che è appena tornato dall’ospedale, dove due giorni fa, un turista americano ha avuto in quota un edema polmonare e sembra stia bene, mentre un’altra del suo gruppo ha sputato sangue; iniziamo bene, queste notizie mi terrorizzano, dopotutto non sono allenato per andare in quota!

Il costo per 7 giorni della MACHAME Route è concordato a 1605$, naturalmente chiedo la detrazione di 80$ per due notti di albergo previste (e che io invece rifiuto, avendo prenotato per 10$ al dì a “We travel hostel”). Nasce il primo intoppo. Volendo saldare tutto in euro, Satiel non li accetta perché gli ingressi ai Parchi si pagano in dollari e quindi il mio cambio non lo aggrada. Ci accordiamo che pagherò con carta di credito 950$ all’ingresso del gate della Machame Route e la differenza di 615$ la verso subito con il corrispettivo di 495€ (un cambio a me favorevole 1€=1,24 $).

Dopo un’ora di pacifica trattativa mi accompagnano al mio hostel, dove dormirò in una camera comune con 8 letti. Al momento non vi è la corrente elettrica, ma il posto è accogliente ed è luogo di incontro dei turisti fai da te. Neanche a dirlo, faccio subito amicizia con l’italiano Michele e l’australiana Katia. Michele, che da settembre è in viaggio per il mondo, mi offre il collegamento wifi ed invio subito mie notizie a casa. Faccio il bucato, poi la doccia e via sulla Mawenzi road (la strada principale dove è ubicato il mio alloggio). Per strada tutti vendono qualcosa oppure cuciono: tutto questo caos dovrebbe creare incertezza a chi viaggia da solo, ma non mi suscita paura, ho con me più di 2.000€ eppure non mi sento osservato e la gente non mi importuna.

Dopo un chilometro arrivo alla piazza principale: la Tower Clock, è semplicemente una rotatoria, decido di rientrare visto che sono stanco, sia per la notte in bianco che per il caldo percepito. Mi butto sul letto e crollo, mi risveglio alle ore 19 con qualche puntura di zanzara, mentre sento il brusio dei turisti che chiacchierano in terrazzo. Non trovando compagnia per uscire a cena mi fermo lì, servono da mangiare una fettina impanata con chapati (pane tanzaniano) a soli 8000 Ts (cambio 1€=2650 Ts scellini tanzaniani).

Mercoledì 21 febbraio: MACHAME Gate (1800m) – MACHAME Camp (2850 m)  11 km  3 ore.    

Nonostante le due ore di fuso orario in avanti mi sveglio alle 6.40, mi preparo e salgo su in terrazza per fare colazione. Noto che sono il più grande, potrei essere il padre di tutti questi avventurieri, provenienti da ogni parte del mondo (Australia, Canada, Argentina, Italia). Per colazione (compresa nel prezzo) mi servono frutta, chapati, 2 fette di pancarrè, un’omelette, tè e caffè americano. Satiel dovrebbe venirmi a recuperare alle 8.30 ed accompagnarmi al gate della Machame Route (pronuncia “maciame”); pur avendo anticipato una parte della somma non mi sento preoccupato di essere raggirato, intanto giù si sente il trambusto quotidiano di questa città. Quando arriva, alle 9.00, mi informa che nel gruppo ci saranno altri due tedeschi che mi raggiungeranno direttamente al primo campo base. Ci spostiamo con un pulmino, prima per caricare vettovaglie e cibo, e poi puntiamo ad un deposito dove vengono caricate le tende. Si parte e alle 11.00 sono al gate di ingresso (1800 m): qui bisogna registrarsi e nonostante gli accordi precedenti, riesco a contrattare pagando 6 giorni anziché 7. Verso 823$ con carta di credito. Satiel mi presenta la mia guida Chuwa (pronuncia “Ciua”) di 33 anni e i portatori Nicolas e Habat. A colpo d’occhio, saremo una cinquantina di turisti pronti a iniziare quest’avventura.

A mezzogiorno varco il cancello in compagnia di Chuwa ed entriamo da subito nella zona denominata RAIN FOREST.

Chuwa mi mostra dei fiori rossi chiamati Empetion Kilimanjaro oppure elephant teeth, nome dovuto alla forma simile alle zanne e si raccomanda di non raccoglierli perché tradizione vuole che chi lo fa non riuscirà a giungere in vetta: mi guardo bene di evitare una simile sciagura!

Intanto noto che il sentiero si presenta pulito: nonostante vi sia una grossa presenza di trekker e locali, non ci sono tracce del passaggio dei turisti (la stessa considerazione l’ho fatta, compiaciuto, in città e lungo le vie di collegamento). Non passano 30 minuti che un tuono preannuncia la pioggia. Avanziamo sotto l’acqua. I portatori, equipaggiati con indumenti alla meno peggio, mi superano stracarichi di vettovaglie e mi sento un po’ in colpa. Spero che il costo oneroso dell’ingresso serva anche come ristoro economico per loro. Prima di partire, Satiel mi ha consegnato il mio lunch box: pranzerò con una coscia di pollo arrostito, due frutti, un dolce. Dopo 3 ore arriviamo a MACHAME Camp, primo bivacco per la notte a 2850m; il mio zaino non è ancora arrivato ed essendo sudato soffro il freddo, da domani mi dovrò organizzare meglio. Finalmente, a mia insaputa ritrovo la tenda montata. Mi cambio e mi offrono subito un tè caldo e va meglio. Ho sempre il problema della faringite che mi provoca la tosse. Verso sera mi vengono offerti pop corn, tè e caffè. Suppongo sia la cena, invece un’ora dopo mi viene offerto del pesce, una zuppa, patate e pomodori. Qui si mangia sempre! Esco dalla tenda e mi fermo a chiacchierare con altri trekker, noto che sono in tanti coloro che si stanno muovendo da soli come me, poi la discussione si incentra sulla mancia da dare alla guida, al cuoco e ai portatori. Avendo i soliti problemi con l’aria fresca, rientro in tenda. Il sacco a pelo è scomodo e sento caldo, ma in piena notte percepisco il freddo e mi rannicchio cercando di respirare il calore del mio corpo. Sono contento che pur non dormendo, non tossisco.

Giovedì 22 febbraio: MACHAME Camp (2850) – SHIRA CAVE Camp (3800m) 5 km 4 ore.

La sveglia è prevista alle 6.30 ma sono già desto quando mi chiamano, il cuoco prepara la colazione e nel campo c’è un diffuso brusio. Secondo tabella di marcia, danno la sveglia con un termos di acqua calda per un tè o caffè, poi portano una scodella di acqua calda per lavare mani e viso ed infine servono la colazione; questa mattina mi offrono porridge, frutta (1/2 banana+fetta papaya), pancarrè, uova, wurstel. Uscendo dalla tenda è tutto un fermento. Ieri siamo arrivati in 53 trekker: calcolando 4 persone per ognuno di noi, ben 250 persone sono mobilitate nel campo! Il sole inizia a riscaldarci, la vetta del Kili è ben visibile ed in parte imbiancata, il cielo è limpidissimo. Alle ore 8.20 parto con Chuwa, rispettando la regola che bisogna camminare pole pole (piano piano). Non sono al massimo, ma non accuso problemi. Ho l’accortezza di bere di tanto in tanto perché il primo rimedio per il mal di montagna è bere 5-6 litri al giorno, questo permette al sangue di essere più fluido e di avere una maggiore ossigenazione.

Scalata-Kilimanjaro-Machame-Route-4000-metri

Lungo la scalata (a quota 4.000 metri)

La salita è molto ripida ed il paesaggio dai 3.000m è diventato brughiera (moorland). Siamo una colonna di persone in marcia con l’obiettivo di raggiungere il campo successivo SHIRA Camp (3800 m). Dopo 3,30 ore siamo a destinazione. Come da prassi ci registriamo mentre i portatori devono far controllare il peso che hanno sulle spalle (hanno l’obbligo di non superare i 20 kg, altrimenti la guida paga la multa o gli viene ritirata la licenza!). Sbirciando il registro, le pesate vanno da 20 a 25 kg, per di più ogni portatore ha il proprio zaino; penso che trasportino sino a 40 kg, mentre io in spalla ho appena 8 kg! Questa realtà l’avevo già vista in Nepal. Mentre attendo nel campo seduto a scrivere questi appunti, arriva un folto gruppo di trekker, ed i loro portatori li accolgono con canti locali e danzando tutti insieme. Sono le ore 18, come ogni pomeriggio il cielo diventa limpido, il sole dona i suoi ultimi caldi raggi ed io seduto su una piccola sdraio accanto alla mia tenda osservo la magnificenza del Kili e i suoi ghiacciai che, anno dopo anno, si ritirano. Siamo a 4000 m, mancano gli ultimi 2000 e mi chiedo se avrò la forza di arrivare in cima. Verso le ore 19 fa buio e Nicolas si adopera per servirmi la cena a lume di candela, che consumo in modo alquanto scomodo nella mia tenda. Esco fuori un attimo e noto un bellissimo cielo stellato, la via lattea è ben visibile, ma non equiparabile alla bellezza di quella vista avuta nel deserto del Gobi in Mongolia.

Scalata-Kilimanjaro-Shira-Camp

Dopo la mia notte in tenda nello Shira Camp

Venerdì 23 febbraio: SHIRA Camp (3800)–LAVA TOWER (4600)-BARANCO Camp (3900 m) 10 km 5.30 ore.

Durante la notte ho sofferto il freddo e non sono riuscito a dormire, non vedevo l’ora che albeggiasse. Alle 6, come ogni mattina, mi portano un tè caldo, utile per riscaldarsi e scappare subito in bagno. Sto male, non ho forza, inizia la giornata nel peggiore dei modi. Provo a prendere ½ pasticca di DIAMOX, un diuretico che aiuta a non soffrire il mal di montagna, poi mangio qualcosa ma il freddo della notte e la quota mi tengono sotto scacco. Si parte lentamente, ogni 5 minuti sorseggio un po’ di acqua ed urino. Superati i 4000m il paesaggio cambia diventando deserto alpino, ed il sentiero che sale gradualmente mi permette di recuperare il mio malessere. Dopo un’ora, Chuwa si accorge di aver lasciato il permesso di transito al campo, così ci accordiamo perché io prosegua lentamente mentre lui molla lo zaino a terra e torna indietro. Avanzo e va sempre meglio, il medicinale ha funzionato bene, per di più è una giornata assolata. Mi ritrovo ad un bivio e, consigliato male, sbaglio direzione. Fortuna vuole che in quel frangente mi intercetta Nicolas che mi blocca. In un secondo momento mi spiegheranno che entrambe le direzioni portano a Baranco camp ma un accesso è per i portatori, mentre noi dobbiamo salire di quota sino a LAVA TOWER Camp (4600 m), sostare per il pranzo e poi ridiscendere a 3900m. Sono procedure utili per facilitare l’acclimatamento. Così, mi fermo per pranzare per 30 minuti, sto bene e poi con spirito rinnovato e tanta grinta scendo di quota. In questo tratto il mio sguardo rimane colpito da piante mai viste prima, il CINICIO che è grande come un albero e la LOBELIA. Essendo vicini all’equatore e, sorgendo il Kili isolato nella savana, noto con grande curiosità che la vetta della montagna si mostra in tutta la sua bellezza la mattina sino alle 11 mentre la sera, prima del tramonto, piove sempre (suppongo che le correnti di aria calda risalendo verso la cima si scontrano con quelle fredde generando nuvolosità quotidiana). Questa sera il sole non ci ha onorati del suo saluto come ogni giorno e quindi per evitare di essere aggredito dalla mia fastidiosa tosse rimango tutto il tempo in tenda.

Sabato 24 febbraio: BARANCO Camp(3900 m) – KARANGA Camp (3960m) – BARAFU Camp (4700m).

A mezzanotte mi sveglio per urinare, perché prima di coricarmi ho ripreso il diamox. E’ l’unico fastidio della nottata visto che, finalmente non ho sofferto il freddo avendo indossato già tutto l’equipaggiamento che userò per scalare la vetta (basti pensare che, pur essendo abbastanza magro, faticavo a stare dentro al sacco a pelo!). Sveglia alle 6, tè, lavaggio mani e viso e poi colazione. Alle 8.30 si inizia un’arrampicata che spezza il fiato (BARANCO Wall 4200 m), poi su e giù nel deserto alpino dai 3900 ai 4200 m. Il sole riscalda corpo e umore, arrivati ad un torrente ci fermiamo per il rifornimento acqua e alle 11 siamo a KARANGA camp (6 km). Chi fa la scalata in 7 giorni si ferma qui, io invece faccio una sosta di un’ora per godere un ottimo pranzo e poi riprendiamo lungo una salita graduale ed interminabile. Guardo sempre la quota sul mio orologio ma i metri tardano ad aumentare, verso la fine vengo avvolto dalle nuvole e tossisco sempre, pur avendo una caramella in bocca. Gli ultimi metri mi pesano, ma quando arrivo a BARAFU CAMP (4700 m) dopo 10 km, vengo accolto dal sole che riempie il mio cuore. Finché posso, continuo a scrivere sulla mia piccola sdraio all’aperto e, alzando lo sguardo, contemplo la vetta coperta dalle nuvole. Bisogna avere pazienza (HACUNA MATATA) affinché questa montagna sacra si mostri in tutta la sua bellezza! In compenso, l’altra cima un po’ più bassa (MAWENZI) e raggiungibile solo in arrampicata, si mostra nel suo splendore. Manca l’ultima prova, ciò che mi preoccupa è la tosse che mi aggredisce con l’aria fredda e domani sarà un grosso punto interrogativo. Oggi ho finalmente conosciuto il mio cuoco, Albano: sta risalendo i vari campi tendati con un paio di sandali a strappo. Insieme a noi vi sono anche dei gruppi organizzati da grandi agenzie. Si muovono come in carovana e persino quando pranzano montano il tendone e hanno la toilette privata, mentre noi usiamo le latrine dove vi è un odore insopportabile (sic!). La doccia non è prevista ma anche questo, secondo me, rientra nel “pacchetto”: in questa avventura è ben altro quello che conta, no? Verso sera mi sento stranito, misuro la febbre ed ho 37, provvedo subito con una tachipirina 1000, poi provo a dormire.

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Una vista impareggiabile!

Domenica 25 febbraio: SCALATA finale KILIMANJARO 5 Km – MWEKA Camp (3100m) 11 ore.

Sveglia alle 23, sto bene. Dopo i soliti preparativi si parte a mezzanotte con torcia frontale. Il vento si fa sentire ma non è freddo. Chuwa porta un passo che per quanto sia lento mi fa faticare tanto, come allunghiamo, il cuore batte come un martello. La salita è dura e al momento non soffro la tosse, poi inizio a non farcela, si avanza 20 cm per passo ma è atroce. Dopo 3 ore si scarica il primo pacco batteria, lo cambio e dopo un’ora sono punto e a capo, mi rimane l’ultima torcia e spero che riesca a coprire le prossime due ore. Cerco di farmi coraggio pensando alla mia famiglia, guardo ogni tanto la quota ma è un calvario, se mi fermo congelo e tossisco, avanzo ma in questo modo non riesco a recuperare. Alla quinta ora arriviamo a STELLA POINT (5756m e 4,3 km), speravo che ci fosse un rifugio ma mi ritrovo solo una tabella indicante la quota, non ho la forza nemmeno di osservare le epigrafi per capire quanto manca, mi siedo dietro una roccia per sorseggiare un po’ di acqua e vomito. Mi sento meglio, manca poco, dobbiamo solo calcolare i tempi per arrivare in vetta alle prime luci, la sosta dura 10 minuti e nonostante abbia 4 cappelli, 3 maglie termiche, un pile, un giubbotto estivo, uno in goretex, pantaloni felpati e due intimi termici, congelo! Si riparte lentamente e finalmente intravedo i ghiacciai (sciolti inesorabilmente anno dopo anno dall’effetto serra), mentre in lontananza, sul cucuzzolo, intravedo solo tre persone ad attendere l’alba.

Scalata-kilimanjaro-Uhuru-Peak

Eccomi all’Uhuru Peak

Alle 6.02 siamo ad UHURU PEAK 5895 m, è buio ma è solo una questione di minuti, non ho la forza di piangere, di ringraziare la guida, di focalizzare quei momenti. Ero convinto di non farcela non solo per il mal di montagna ma anche per la faringite che mi ha debilitato, compromettendo il pieno godimento della scalata. Dopo aver scattato velocemente un po’ di foto che non posso nemmeno controllare, riprendiamo la discesa ed il sole alzandosi irradia sempre più calore e ci dona tanto sollievo.

Per 2 ore si scivola sul brecciolino, mi piacerebbe prendermela con più calma ma Chuwa non mi dà tregua. Arrivati al campo base, c’è bel tempo ma sono sofferente nonostante sia sceso a 4700 m. Non mi va di pranzare, alla fine decido di prendere un’altra ½ pasticca di diamox, convinto dal fatto che durante la discesa mi sono tagliato e il sangue mi è sembrato poco fluido. Mi preparano una zuppa che fatico a bere e poi via, verso MWEKA Camp (3100m a 7,5 km). E’ una lunghissima discesa che mi massacra le punta degli alluci. Lungo il percorso incontriamo delle lettighe carrellate improvvisate e poi il centro di emergenza HIGH CAMP (3950 m) per chi deve essere trasportato in elicottero. Da subito, nella discesa mi sento molto meglio e dopo 3,30 ore siamo nel nuovo campo.

Qui (e solo oggi) scopro che chi vuole risparmiare tempo e denaro invece di sostare al Mweka camp può avanzare altri 10 km (3 ore) ed arrivare al gate di uscita. Pertanto la Machame route che consigliano di percorrere in 7 giorni si può anche fare in 5. A MWEKA Camp (3100 m), solita routine, non ci si lava, si sorseggia un tè e poi decido di affrontare con Chuwa la questione mancia. Secondo accordi precedenti con Satiel dovrei versare il 10% del costo totale cioè 160 $, ma visto che sono stati premurosi lo informo che darò in totale 200 $. Chuwa si rabbuia perché gli era stato detto che avrebbe ricevuto da me 250$. Avendo con me la stampa delle email gli mostro gli accordi presi precedentemente e Chuwa, pur non potendo replicare, si risente in maniera evidente. La sera stessa ripenso alla loro situazione sociale e decido di accontentarli, anche perché ultimamente si sta consolidando la nuova prassi per la quale ciascun gruppo è tenuto a dare 20 $ al dì alla guida, 15 $ al cuoco e 10 $ per portatore, e quelle sono le loro aspettative. Ovviamente, uno che affronta da solo la scalata, si ritrova con dei costi di mancia onerosi.

Lunedì 26 febbraio: MWEKA Camp (3100 m) – MWEKA gate (1800 m) 10 km 2.5 ore.

La prima azione che faccio è informare Chuwa che gli darò i famosi 250 $ e lui ricambia con un sorriso ed un forte abbraccio, subito dopo partiamo per la tratta finale. Si continua a scendere, il sentiero è più curato e nonostante provi a cambiare calzini e scarpe gli alluci continuano a farmi male. Finalmente alle 11 espletiamo le ultime formalità e poi, con il nostro autista, ci avviamo verso la città. Poco dopo ci fermiamo ad un negozio di souvenir consigliato da Chuwa: è bellissimo ma i prezzi sono esagerati. Molto probabilmente, come accade spesso, prenderà una percentuale sui miei acquisti: compro solo una maglietta a 30.000 Ts (11 €). Lungo la strada vi è una vegetazione molto rigogliosa: banani, coltivazione di caffè e il bordo strada continua a essere incredibilmente pulito. Nel pulmino siamo in sei e propongo di offrire ai miei compagni di viaggio una birra una volta in città: l’umore è alto e pago con 23.000 Ts due giri. Chuwa mi invita a cena a casa sua e accetto volentieri. Prima però, torno al mio hostel dove mi sento come a casa. Mi concedo finalmente una bella doccia per scrostarmi il vissuto della lunga avventura e lavo qualche indumento. Chuwa arriva all’appuntamento alle 18.30 e  mi invita a salire in tre in moto per andare a casa sua che scopro dista 5 km dal centro. Di fronte alla mia perplessità, mi assicura che non c’è nessun problema, tuttavia lungo il tragitto un po’ di paura l’avverto. Giunti nel quartiere di Chuwa, le strade sono in terra rossa, e del tutto casualmente incontro nuovamente Giuseppe il Trentino che vive in zona in una casa in affitto.

Prima di andare a cena, Chuwa ci invita a bere una birra insieme (che mi spendo ad offrire) e poi, brancolando nel buio rischiarato solo da una torcia, proseguiamo verso casa. Veniamo accolti nel salone, l’abitazione  è ridotta all’essenziale e non bisogna stupirsi. Chuwa ha due gemelli sedicenni e una bimba di 8 mesi, intanto a casa vi sono altri bimbi che sono lì a curiosare. La moglie non è particolarmente loquace e resta in cucina a preparare la cena. La vediamo solo quando si palesa per servire pollo e riso con il condimento. A fine serata vorrei regalare qualche spicciolo ai ragazzi ma Chuwa mi invita ad offrirli alla moglie, così le offro 50.000 Ts e finalmente scorgo soddisfazione in lei. Giusto per avere un’idea, un’insegnante o un poliziotto hanno un guadagna mensile pari a 180$; una commessa in un piccolo negozio 1500Ts a settimana (il corrispettivo di una birra), l’affitto mensile in città è di 50$, un portatore guadagna 4$ al dì. Andando via, Chuwa vuole offrire un altro giro di birra e poi mi riaccompagna al mio hostel, dove in terrazza incontro i miei amici trekker, con i quali chiacchiero un po’ prima di ritirarmi per godermi un meritato riposo. L’indomani mi aspetta il safari in Tanzania low cost di 5 giorni.

Leggete anche Safari in Tanzania ad agosto 9 giorni in tour privato tra i più bei parchi del paese e due tappe per veri viaggiatori!

Articolo e foto di Fabio Stomaci

2 commenti

Davide 19 Gennaio 2019 - 23:22

Potrei sembrare arrogante con il mio commento.
Quella riportata qui sopra è una singola testimonianza e non è assolutamente significativa, nel senso che non è quello che accade di solito quando si affronta il Kilimanjaro. Nè tantomeno è successo a me.
La nota sul ghiacciaio che si scioglie inesorabilmente per l’effetto serra è puro populismo. L’informazione è sbagliata e fuorviante, non perchè non esista l’effetto serra ma perchè sono gli stessi sostenitori del Climate Change a dire di non usare il ghiacciaio del Kilimanjaro che si ridice come esempio del Climate Change. Consiglio la lettura di questo libro a tutti quelli che desiderino saperne di più, anche solo per cultura personale: Trailblazer Kilimanjaro: The Trekking Guide to Africa’s Highest Mountain; Also Includes Mount Meru & Guides to Arusha, Moshi, Marangu, Nairobi & Dar es Salaam (autore Henry Stedman). Lettura davvero esaustiva sul Kilimanjaro e non solo.

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Monica Nardella 21 Gennaio 2019 - 11:05

Caro Davide naturalmente nessuna delle esperienze raccontate in questo blog ha valore universale ma individuale e in quanto tale, non è in alcun modo contestabile. Raccontiamo ciò che viviamo, cercando di riportare fedelmente informazioni e emozioni in tutta buona fede. Un altro viaggiatore può raccontare esattamente il contrario e sarà certamente altrettanto vero. Per quanto concerne la tua osservazione sulla riduzione del ghiacciaio del Kili, accolgo con estremo piacere la segnalazione del libro, lo leggerò volentieri. Spesso si riportano a casa anche “luoghi comuni” ma poi è importante confrontarsi con lettori che ne sanno più di te e ti aiutano a correggere il tiro! Metterò un NDA (nota dell’autore) con la lettura da te consigliata! Grazie!

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