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Speciale Umberto Eco

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Umberto Eco il nome della rosa

Bernardo Gui si pose al centro del grande tavolo di noce nella sala del capitolo. Accanto a lui un domenicano svolgeva le funzioni di notaio e due prelati della delegazione pontificia gli stavano a lato come giudici. … “La mia anima è innocente e non so cosa voi intendiate quando parlate di depravazione eretica” … “Lo vedete?” esclamo Bernardo rivolgendosi agli altri giudici. “Tutti così costoro! Quando uno di loro viene arrestato, si presenta a giudizio come se la sua coscienza fosse tranquilla e senza rimorsi. … Ecco, … la tipica risposta dell’eretico impenitente! …” U. Eco, Il nome della rosa, quinto giorno, nona.

Immaginiamo di essere vicino al poveraccio sottoposto all’inquisizione. Umberto Eco, ne Il nome della rosa, il suo libro più famoso, ci mostra quanto sia inutile tentare una difesa di fronte al tribunale dell’inquisizione cattolica. Quello che mette in scena, in verità, è un tribunale particolarmente fanatico. Infatti, grazie a molti studi che sono stati condotti da più parti, oggi sappiamo che gli inquisitori non furono tutti come Bernardo Gui e che, anzi, molto spesso le pene comminate non furono cruente. L’idea distorta di giudici e tribunali brutali oltre ogni dire, è figlia del secolo dei lumi. Tuttavia, con quella scena estrema e drammatica, Eco ci porta dentro l’ingiustizia, ci fa sentire il puzzo sulfureo del fanatismo e dell’oscurantismo cristiano, e quasi avvertiamo sulla pelle la tragedia della razionalità umana resa impotente dalla supremazia della superstizione. Basti ricordare i casi di Giordano Bruno e Galileo Galilei, casi, tra l’altro, molto posteriori a quel Medio Evo.

Il campione della razionalità del romanzo è frate Guglielmo da Baskerville che, detto per inciso, ormai non può che avere la faccia accigliata e fascinosa di Sean Connery; una sovrapposizione post-moderna, quella tra libro e film omonimo (di J. J. Annaud, 1986) molto vicina al nostro autore. Guglielmo usa la sua acuta intelligenza per scindere l’apparenza dai fatti, mentre è intento nella ricerca continua della verità. Egli in passato era stato inquisitore, dunque aveva provato sulla sua pelle, direttamente, quanto fosse sciocco e tragico ergersi a censore dell’anima, del pensiero, della vita altrui nel nome del trascendente. Eco può essere Guglielmo, nella misura in cui questo è uno studioso, un cultore del dubbio e della ricerca, un amante dei libri, un maestro che insegna ai suoi discepoli come accendere la mente; come il professore Eco faceva con i propri studenti.

Il nome della rosa è un romanzo storico, è finzione. Ma, come ogni grande romanzo, può dirci molto su ciò che siamo. In fondo l’arte, la letteratura, sono degli specchi nei quali ci riflettiamo. Le domande, i dubbi, le cose meravigliose e quelle tragiche, tutto ciò che siamo e proviamo fornisce la materia con la quale quello specchio è realizzato. Si deve essere grandi scrittori, profondi e colti pensatori per riuscire a realizzare un opera che, pur costituita da molti livelli di lettura e da molteplici rimandi, sia in grado di parlare a tante persone, veramente tantissime, tutte quelle che dagli anni ottanta del secolo passato ad oggi, hanno letto questo il libro, e continuano a farlo.

L’affilatissima ironia di Guglielmo da Baskerville è quella del suo autore. Grazie a questa, Eco riesce a parlare a tutti. I suoi romanzi, ma anche i saggi che ha scritto, sono fruibili anche da “i non addetti ai lavori”; comunque la stimolante e piacevole fatica di comprendere i mille rimandi, che costituiscono tutti suoi scritti, resta intatta e questa è una fortuna, perché è una delle cose più belle dei suoi lavori. Romanzi figli di una “cultura alta” che si fanno leggere da tutti. Stupendo!

Alla fine, Bernardo Gui, l’inquisitore. Jorge, il bibliotecario cieco (modellato su Borges), fanno tutti una finaccia. La farsa dell’inquisizione si mostra per ciò che è in realtà. Eppure Guglielmo, ed il suo protetto Adso, non possono fare nulla.

È ironico il piano di lettura inclinato rispetto alla nostra attualità. Oggi, le barricate costruite dal più becero conservatorismo sono schiantate dalla forza della razionalità. Oggi l’idea di giustizia, eguaglianza, fratellanza e di libertà che hanno radici nell’Illuminismo; vale a dire nelle vere radici dell’Europa civile, le quali certo non possono ascriversi ad un credo religioso; giunge fino a noi e si concretizza in piccoli grandi passi in avanti, verso un mondo migliore. Oggi Guglielmo e Adso hanno avuto la meglio su Bernardo Guy. La speranza di giustizia frustrata nel romanzo, si avvera nella realtà.

Le unioni civili, che hanno superato la prima prova in parlamento, facendoci emergere come popolo (almeno in questo ambito) dalla vergogna dei diritti negati, sono uno di quei passi. Un piccolo, grande passo, che ironicamente viene fatto dalla società, mentre si continua a celebrare il bel Giubileo cattolico (al quale abbiamo dato amplissimo spazio con ben quattro Speciali Giubileo). Ironico lo è di certo, quando si considera l’opposizione del mondo clericale alla modernità ed alla razionalità, pressoché identica dai tempi di Bernardo Gui fino ai nostri.

Come è ironico che il film candidato agli Oscar Spotlight (di Tom McCarthy, al cinema in questi giorni), mostri quanto sia difficile, ma possibile e doveroso, mettere sotto scacco l’oscurantismo e l’omertà. Frate Guglielmo può essere il personaggio interpretato da Michael Keaton, che pur cresciuto in un mondo (quello della Boston cattolica e bianca) deve tentare, per scelta etica e morale, di svelare la verità nonostante farlo sia assai doloroso. Questo è solo uno spunto, obliquo, forse strano, eppure mostra che quando un libro è “grande” può essere utilizzato come chiave di lettura della realtà, magari anche oltre il suo tempo. Poi se è anche divertente, beh… che vuoi di più?

Umberto Eco è morto. Un gigante della cultura mondiale. Siamo stati fortunati ad averlo come concittadino, siamo fortunati a poter approfittare di tutte le pagine che ci ha lasciato in eredità. Leggerlo e rileggerlo, e pensare, e non fermarsi di fronte a facili certezze. Continuare ad infilare un dubbio dietro l’altro, questo è quanto possiamo fare, questo alto stimolo è la sua più grande eredità. Spotlight, ovvero illuminare le zone in ombra, accendere i riflettori della curiosità, cercare di capire il mondo, senza mai avere l’arroganza di credere di possedere “la verità”.

Tutte le opere di Eco si trovano con facilità, quasi tutte sono disponibili in edizione economica. Tutti i romanzi sono pubblicati da Bompiani.

Per quanto riguarda lo spunto per viaggiare… già nel passato abbiamo percorso le strade d’Europa seguendo gli stimoli delle opere di Eco. Però, volendo scegliere un viaggio ed un libro, eccolo: da Milano a Parigi, passando per Torino, con in tasca Il pendolo di Foucault.

Nel salutarci, quale miglior chiusa del lasciar la parola a Borges, uno tra i nostri autori preferiti, nonché così amati da Eco da farlo diventare, come dicevamo, un personaggio di finzione, padre Jorge.

La biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine.” J.L. Borges, Finzioni, La biblioteca di Babele. 

La chicca: Curiosi di sapere quale fosse la location del Nome della Rosa? Occhio alle bufale!

Alla prossima, M.I.

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